martedì 8 febbraio 2011

Racconto di un pellegrino

Sulle orme dei vecchi pellegrini. SBiG – Monte Sant’Angelo.

Mia nonna è partita nel 1937, aveva sedici anni e ricorda di aver impiegato 8 giorni per raggiungere la grotta e tornare.
È sempre stato un mio desiderio quello di riempire lo zaino, legare il sacco a pelo e con bordone e piuma partire da SBiG alla volta del Gargano. Ho aspettato anni per farlo. Ho percorso le strade spagnole sulla via di Santiago di Compostella, ho percorso l’appennino tosco-umbro sui passi di San Francesco, ma mi mancava il pellegrinaggio più importante, quello michaelita. 
Decido di partire a fine luglio, le giornate non sono eccessivamente calde, le previsioni metereologiche prevedono cielo sereno per alcuni giorni. L’ideale per percorrere i 120 chilometri che ci separano dalla grotta dell’Angelo.
Non è Santiago, non è Assisi, occorre necessariamente informare coloro che dovranno ospitare un umile pellegrino dopo una giornata di cammino. Provvedo in pochi minuti. Chiamo padre Giuseppe e chiedo ospitalità per giovedì 29 luglio presso il convento di Castelnuovo della Daunia, chiamo don Raffaele e chiedo ospitalità presso la parrocchia della SS. Immacolata di San Severo per il giorno 30, chiamo padre Mario e chiedo ospitalità presso il convento di San Matteo in Lamis per sabato 31 luglio, infine prenoto una stanza presso la Casa del Pellegrino a Monte Sant’Angelo per il 1 agosto, giorno previsto per il mio arrivo.
Uso uno zaino da 35 litri, molto più piccolo rispetto a quello usato nei miei precedenti pellegrinaggi. Uso le stesse scarpe dei miei precedenti cammini, mi accorgerò in seguito di aver commesso una leggerezza, perché le scarpe sono consumate e impercettibilmente indurite. Mai risparmiare sulle scarpe e soprattutto mai mettere scarpe nuove prima della partenza. I piedi sono importantissimi per il pellegrino e non hai tempo per recuperare, se si formano delle vesciche, te le porti dietro per parecchi giorni. Lo zaino pesa 7 kg, acqua a sufficienza, frutta, bordone e piuma. Pronti per la partenza. Sveglia alle 5:30 del 29 mattina, colazione abbondante come tutti i giorni, prendo l’acqua e la frutta dal frigorifero, ultimo controllo allo zaino, apro la porta di casa ed inizio a salire vico D’Urso. Sono le 6:20, in giro c’è pochissima gente, tuttavia sulla strada per Marano incontro alcuni camminatori e qualche altro che fa jogging. Solo qualcuno mi chiede dove vado, dopo la mia risposta mi dicono: “Grande! Ci vuole coraggio”. Rispondo: “Sto semplicemente camminando”. Non ci vuole coraggio nel camminare. Il cammino è un altro modo di viaggiare, più lento, più bello, più in simbiosi con la natura. Mi piace ricordare le parole di Erri de Luca “
"Il pellegrinaggio ha senso 
se fatto a piedi;
è un avvicinamento lento,
è un tempo: 
non solo il raggiungimento della meta.
Il pellegrinaggio ha a che fare 
con la solitudine,
è perdersi per ritrovarsi".

È talmente vero, la meta nel pellegrinaggio a piedi è un elemento secondario, è affascinante invece vagare in solitudine, avendo come unica compagnia il vorticare dei tuoi pensieri, sapere di dover contare solo ed esclusivamente su te stesso.

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